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Trentino / Lifestyle

PAOLO ENDRICI: LA MONTAGNA, SCUOLA DI VITA.

Dietro l’immagine di imprenditore del vino trentino nel mondo, Paolo cela la passione di un ragazzo diventato adulto con l’orizzonte aperto delle cime conquistate passo dopo passo.

Il 2021, anno della montagna riscoperta

L’inverno 2021 in Trentino verrà certamente ricordato come un periodo molto difficile per l’economia del turismo invernale, del tutto bloccato dalla chiusura delle località sciistiche, degli impianti di risalita, delle attività ricettive, della ristorazione e di tutte le attività economiche ad esso collegate.

Ma questi mesi surreali, saranno ricordati anche per la natura pulita, per le bellissime e copiose nevicate registrate nel periodo natalizio, per le giornate soleggiate che si sono avvicendate nei mesi.

Per molti trentini il blocco degli spostamenti è stata un’occasione per riprendere i vecchi sci da alpinismo o le ciaspole e avventurarsi nella neve fresca. Per qualcuno si è trattato di una “prima volta”, per molti invece, come per Paolo Endrici, un “ritorno” alle abituali pratiche sportive della giovinezza.

Paolo Endrici, la montagna mi ha insegnato la vita

Fino all’età di quarant’anni ho praticato quasi ogni settimana l’attività alpinistica, sia invernale che estiva. Ho imparato a sciare a sei anni, sotto la guida di mio zio Giuseppe Fedrizzi primario di oculistica; spesso ero ospite della sua famiglia nella casa a Pera di Fassa, passavamo ore sulla neve e grazie a lui, sciatore sfegatato, imparai le tecniche più raffinate della sciata libera. A soli otto anni ebbi la mia prima esperienza di risalita con le pelli di foca e feci il giro del Sella. Gli impianti di risalita all’epoca di fatto non esistevano, si partiva con il “prosac” (ndr lo zaino in dialetto trentino) contente lo stretto necessario: un po’ di vino bianco in una borraccia (non vino rosso perché diventava troppo freddo), un po’ di acqua, pane e formaggio, una maglietta per cambiarsi all’arrivo alla meta, si partiva all’alba e si ritornava con il buio.


Insieme allo zio Giuseppe e a suo figlio Alessandro, più giovane di un paio di anni, Paolo conosce progressivamente alcune delle più importanti cime della Val di Fiemme e Fassa.

Temevamo il pericolo delle valanghe ma lo sfidavamo. All’epoca per la sicurezza si utilizzava un filo rosso lungo 20 metri, che ogni sciatore legava all’altezza della cintura: nel caso di una valanga quel filo avrebbe potuto salvarci la vita!

I telefonini chiaramente non esistevano.

Tra i ricordi più vividi delle mie sciate, c’è quella della nostra risalita della Marmolada: ero in compagnia dello zio e di suo figlio Alessandro, che all’epoca aveva solo otto anni, tre meno di me; salimmo tutti e tre in cima alla Marmolada e quella fu la prima volta che mi sentii “vecchio”: anche io avrei voluto compiere la stessa impresa a soli otto anni, come Alessandro! Insomma, la mia natura competitiva, aveva cominciato a far capolino da ragazzino, in occasione delle fatiche in montagna e cresceva al contempo lo spirito di condivisione dei successi con i compagni di avventura.

Quarant’anni di sci alpinismo e condivisione di passione

Nei successivi trent’anni, Paolo ha scalato metodicamente la maggior parte delle cime del Trentino-Alto Adige: si è avventurato in Austria, in Svizzera dove ha affrontato le cime sopra i 4000 m s.l.m. come il Mönch o la Jungfrau, il Bernina e molte altre.

Nel 1972 propose alla Società Alpinistica Trentina la bozza di una guida da lui scritta, con le mappe e le descrizioni dettagliate di decine di risalite di sci alpinismo sulle vette del Trentino-Alto Adige, un libro a schede da inserire in un quaderno a spirale. Benché molto apprezzato dai vertici della SAT, il libro non venne mai pubblicato perché negli anni Settanta lo sci alpinismo non era ancora uno sport diffuso e la guida non avrebbe destato molto interesse, peccato sarebbe stato una delle prime guide nel settore.

Insieme gli amici dell’università appassionati di sci alpinismo, in gioventù Paolo si è avventurato praticamente ogni weekend sulla neve fresca.

Eravamo un bel gruppo di studenti, ragazzi ed anche ragazze, in estate, facevamo a gara per alternarci nella gestione del Rifugio Taramelli in Val di Fassa affidato alla sezione universitaria della SAT della quale facevamo parte, rammenta Paolo; tra gli amici ricordo Fabio Biasi diventato poi giudice, Ettore Paris attuale direttore di Questo Trentino, i tre cugini Fedrizzi Alessandro Michele e Cecilia, i Lanzinger, Giorgio Sartori, Marco Dolzani e tanti altri. All’epoca non era facile reperire l’attrezzatura sportiva: lo sci alpinismo era allora davvero uno sport per pochi, a Trento esisteva un solo punto specializzato, il Colombo Sport in via Grazioli dove si trovavano gli sci e caldi piumini Duvet che ci riparavano dal gelo. La stagione iniziava a fine novembre e terminava a maggio: si iniziava tradizionalmente con la salita al Fravort sul Lagorai, dove arrivava la prima neve, un incredibile spettacolo per gli occhi con il giallo dei larici a contrasto col bianco della prima nevicata d’autunno, in maggio/giugno con la neve ormai stabilizzata, si potevano affrontare le cime più alte e impegnative.

In quegli anni d’intensa attività alpinistica Paolo Endrici maturò un’ottima esperienza in montagna, tanto che quando divenne ufficiale di complemento degli alpini a Vipiteno in Alto Adige, gli venne affidato l’incarico “in qualità di persona esperta”, di guidare un folto gruppo di alpini di leva, per un periodo di oltre cento giorni in tenda, percorrendo tutte le montagne di confine dell’Alto Adige.  

La Montagna fonte di riflessione e di ispirazione nel lavoro di imprenditore

La mia vita da alpinista non è stata indenne da momenti tragici, sottolinea Paolo, ho vissuto disavventure e momenti difficili, ho perso persino tre compagni di cordata nella mia esperienza da ufficiale; non le voglio ricordare qui, ma l’ultima disavventura è stata quella decisiva per me, tanto da farmi decidere di desistere. Era nato da pochi giorni il mio secondo figlio, Daniele, era estate e durante una scalata, fui colpito da una scarica di sassi e rimasi sospeso per cinque ore sulla parete nord del Crozzon di Lares nel gruppo dell’Adamello, in attesa dei soccorsi con un braccio ed un piede completamente fuori uso. Da allora, per i miei figli, per mia moglie Christine e per l’Azienda, ho scelto di dedicarmi ad attività sportive più tranquille. Anche in questo la montagna è stata maestra, permettendomi di affinare il mio senso di responsabilità.

La chiusura tra le regioni causata dalla pandemia e la conseguente limitazione agli spostamenti, mi hanno spinto a riprendere il contatto con la montagna, con la neve caduta copiosa già a dicembre, a rispolverare gli sci da alpinismo lasciati in cantina.

Nelle mie uscite con gli sci, sono riaffiorati alla memoria tanti ricordi e l’amore per il nostro paesaggio alpino delle montagne trentine, un legame di fatto mai sopito, solo diluito nella vita frenetica del recente passato.

In un momento storico così sospeso, dove ogni abitudine è stata messa a soqquadro, essere un imprenditore del vino trentino mi rende ancora più orgoglioso: le montagne che influenzano il clima dei nostri vigneti e che nei secoli hanno creato con i loro detriti la ricchezza del sottosuolo, sanno forgiare anche il nostro spirito di imprenditori.

La montagna è una grande maestra, una grande madre, una generatrice di persone coraggiose. Misurarsi con lei insegna la pazienza e tempra il carattere. L’alpinista impara a non dare nulla per scontato, a prestare attenzione al momento presente, a coltivare lo spirito di squadra, dove tutti i compagni, dal più forte al meno esperto, sono legati da un rapporto di sostegno reciproco verso la meta comune.

Trentino terra di vini di montagna

Ma come ha influito l’amore per le montagne sulla sua vita di imprenditore?
Conoscere la natura dei territori alpini, il clima mutevole e le peculiarità del territorio è essenziale per diventare produttori di vino in Trentino. Essere alla guida di una storica cantina vuol dire inevitabilmente diventare un testimonial diretto della straordinaria regione felicemente inserita tra il clima Continentale delle Dolomiti e quello Mediterraneo del lago di Garda.

Il Trentino viticolo produce di fatto una nutrita rosa di vini, dai vitigni autoctoni a quelli internazionali: tra i vini bianchi spiccano lo Chardonnay e il Pinot Grigio, la meno nota ma affascinante Nosiola, gli aromatici Gewürtztraminer, il Müller Thurgau e il Riesling renano. Tra i vini rossi i coloratissimi vitigni autoctoni Teroldego Rotaliano, Lagrein e Marzemino che affiancano i nobili bordolesi Cabernet Sauvignon e Merlot.

La punta di diamante dei vini della provincia di Trento è considerata oggi il Trentodoc, spumante sinonimo di “bollicine di montagna”, il metodo classico delle Dolomiti, le cui uve provengono da microclimi ideali, quelli delle cinque importanti valli viticole della provincia di Trento.